GIOVE
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Il diametro di Callisto, satellite di Giove, e’ di 5170 Km. – Callisto, satellite di Giove, fu scoperto da Galileo nel 1610. – Europa e’ il terzo dei dodici satelliti di Giove. – 
Su Giove esiste un forte campo magnetico. Il pianeta possiede una ionosfera capace di modificare la radiazione emessa. – La distanza di Giove dal Sole e’ di 5,20 unita’ astronomiche 
Giove ha una massa che e’ 318,86 volte quella terrestre. – Giove emette una quantita’ di calore superiore a quella che riceve dal Sole.- Giove e’ uno degli astri più’ luminosi del nostro cielo. – 
Io e’ stato scoperto da Galileo nel 1610. – 
I satelliti di Giove sono dodici, di cui solo quattro di dimensioni significative. – La macchia rossa di Giove e’ costituita da nubi ammoniacee che si muovono in un’atmosfera di metano.
La temperatura superficiale di Giove e’ di -138 gradi centigradi
Distanza minima di Giove dalla Terra = 589 ¨    10^6 km
distanza massima dalla Terra = 968      10^6 km
Diametro apparente = 30″,8  50″
Periodo sinodico = 398,88 giorni

 

Giove èil pianeta più grande del sistema solare, il quinto (se si escludono i pianetini) in ordine di distanza dal Sole. Attorno a questo compie una rivoluzione completa in 11,86 anni, mantenendosi alla distanza media di 5,2 unità astronomiche (778 milioni di chilometri): in tal modo viene a descrivere un’orbita eccentrica lungo la quale si sposta dai 600 milioni di chilometri di distanza minima dalla Terra (allorché si trova in Opposizione al Sole) fino ai 960 milioni di chilometri di distanza massima dal nostro pianeta (all’epoca della Congiunzione). 
Muovendosi all’esterno dell’orbita terrestre, viene classificato fra i cosiddetti pianeti superiori, il suo periodo sinodico tocca i 399 giorni – la rotazione è molto rapida: il periodo varia dalle 9h 50m 30s all’equatore alle 9h 56m in corrispondenza dei Poli. Si ritiene che tale differenza sia dovuta al fatto che il pianeta è con buone probabilità interamente fluido, privo di una qualsiasi superficie rigida, la rapida rotazione provoca dunque un forte appiattimento: dai 143.000 chilometri del diametro equatoriale si passa ai 133.000 circa per quello polare. In base ai dati forniti dai satelliti ed agli studi relativi alle perturbazioni osservate lungo la fascia degli asteroidi, si calcola che la massa ed il volume del pianeta superino rispettivamente di 317,8 e 1300 volte circa quelli della Terra; la temperatura superficiale è molto bassa, addirittura -140 °C. Al telescopio la superficie di Giove appare solcata da bande di colore scuro su fondo giallastro, parallele all’equatore, frequentemente interrotte sia da nuvole irregolari sia da macchie chiare e scure. Fra queste, alcune variano di giorno in giorno, suggerendo l’ipotesi che l’attività atmosferica sia notevole in corrispondenza dei livelli più bassi; altre godono invece di una certa persistenza; al riguardo merita un’attenzione particolare la cosiddetta macchia rossa, che l’astronomo francese d’origine italiana Jean-Dominique Cassini osservò per la prima volta nel 1665. Di forma ellittica, si estende per quasi 48.000 chilometri in longitudine e 16.000 chilometri in latitudine; sembra oscillare e muoversi longitudinalmente come se galleggiasse in un oceano; il periodo medio di rotazione si aggira intorno alle 9h 55m; l’intensa colorazione rossastra che gli astronorni poterono amrnirare fra il 1879 ed il 1882 si è sbiadita progressivamente ed oggi varia dal grigio al rosa pallido. 

Alcuni astronomi ritengono che la struttura del pianeta sia schematizzabile in un nucleo interno, relativamente piccolo e formato da elementi pesanti quali il ferro, circondato da uno spesso strato di materiali più leggeri (acqua compressa e ghiaccio). Altri pensano invece che il 76% della massa sia formato da idrogeno talmente compresso da essere reso solido; vi sarebbero poi altri elementi pesanti, in parte concentrati nel nucleo, in parte distribuiti uniformemente con l’idrogeno. 
E proprio quest’ultimo, insieme con l’elio, sarebbe il principale componente anche dell’atmosfera, ove non andrebbero comunque trascurate, oltre al metano ed all’ammoniaca, le percentuali di sodio, potassio e iodio. 

Se la presenza di tali elementi è testimoniata dalla colorazione particolare delle varie bande atmosferiche, il ritenere che l’idrogeno e l’elio (elementi molto leggeri) siano presenti in grandi quantità sul pianeta va inteso come la sola spiegazione logica di una scoperta sorprendente: la densità media di Giove è bassissima, quasi uguale a quella del Sole e quattro volte inferiore alla densità dei pianeti piccoli di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra, Marte e Plutone), è appena 1,35 volte quella dell’acqua. 

 


Da circa trent’anni è noto che Giove è un’intensa sorgente di onde radio: si distinguono emissioni termiche aventi lunghezze d’onda di 3 centimetri, emissioni non termiche di tipo sincrotrone e radioemissioni molto intense alla lunghezza d’onda di 15 metri. Se le prime vanno senz’altro interpretate come il frutto del moto disordinato delle molecole sulla fredda superficie del pianeta, le seconde (di particolare intensità alla lunghezza d’onda di 10,3 centimetri) sono probabilmente da ascrivere agli elettroni intrappolati dal campo magnetico gioviano, il quale (proprio come le fasce di Van Allen intorno alla Terra) costringe le particelle cariche a muoversi a spirale lungo le linee di forza con velocità sufficiente ad emettere il radiospettro osservato. 
Ma sono soprattutto le radioemissioni alla lunghezza d’onda di 15 metri, spasmodiche e di sorprendente intensità, a fare di Giove una delle più violente ed incredibili radiosorgenti del cosmo: basti pensare che uno solo di tali radioscoppi emette energia in quantità paragonabili a quelle liberate dall’eruzione di un vulcano o da un disastroso terremoto. 

Fu Galilei a scoprire nel 1610 le prime quattro lune di Giove: Io, Europa, Ganimede e Callisto, che il pisano chiamò pianeti medicei in onore a Cosimo II de’ Medici. Oggi è noto che Io ed Europa hanno all’incirca le dimensioni della Luna; Ganimede e Callisto quelle di Mercurio; le densità decrescono in modo graduale da Io a Callisto, pur mantenendosi significativamente più alte di quella gioviana (Io ed Europa sono addirittura più densi della Luna); le superfici appaiono solcate da macchie simili ai mari lunari; i loro periodi di rotazione uguagliano quelli di rivoluzione siderale. 

Poiché ruotano attorno al pianeta con periodi regolari, si cominciò addirittura nel Seicento a calcolarne in anticipo (e per ciascuno) le varie fasi, cioè il momento in cui o sarebbero stati occultati da Giove o gli sarebbero passati davanti oppure la loro ombra avrebbe formato una piccola macchia scura sul disco luminoso del pianeta. Opportunamente interpretate, tali osservazioni permisero ad Ole Christensen Romer di scoprire nel 1676 che la velocità della luce era finita, contrariamente a quanto si era creduto fino allora: accorgendosi infatti che le Occultazioni ed i Transiti si verificavano con leggero anticipo ogniqualvolta Giove si trovava alla distanza minima dalla Terra, ed al contrario ritardavano all’epoca dell’opposizione, Romer concluse che la luce, anziché viaggiare istantaneamente, doveva muoversi con velocità finita, da valutarsi intorno ai 225.000 km/s. Riteneva infatti che le fossero necessari 11 minuti per descrivere il raggio dell’orbita terrestre; in seguito, calcoli più precisi fissarono a soli 8m 1/5 tale intervallo di tempo e, di conseguenza, a ben 299.800 km/s la velocità della luce. 


A partire dal 1882 vennero progressivamente scoperte intorno a Giove altre otto lune, di dimensioni molto ridotte: la V (Amaltea) e la VI, che sono le maggiori per massa, raggiungono appena i 240 ed i 160 chilometri di diametro. Va comunque detto che oggi si è soliti distinguere in tre gruppi i dodici satelliti gioviani: al primo appartengono Io, Europa, Ganimede, Callisto ed Amaltea, che orbitano bassi rispetto alla superficie del pianeta e si muovono in senso antiorario per l’osservatore situato a nord dell’eclittica, il secondo comprende i satelliti VI, VII e X, che si muovono ad una distanza media di 11 milioni di chilometri da Giove, in senso orario per l’osservatore situato a nord dell’eclittica, con periodo di 260 giorni circa; al terzo gruppo, infine, appartengono i satelliti più esterni (XII, XI, VIII e IX, in ordine di distanza dalla superficie del pianeta), i quali, in senso retrogrado e ad un’altezza media di 23 milioni di chilometri, descrivono orbite fortemente perturbate dall’attrazione solare, con periodi di 100 giorni circa. Il moto del pianeta causa perturbazioni che influenzano la distribuzione degli asteroidi intorno al Sole. Al riguardo meritano una menzione particolare i dodici Pianetini Troiani, i cui periodi di rivoluzione sono all’incirca uguali a quello di Giove. La nota più saliente del loro moto è data dal fatto che le loro orbite si mantengono equidistanti dal Sole e da Giove, qualunque sia l’eventuale azione perturbatrice cui vengano sottoposti: come dimostrò il matematico francese Joseph Louis de Lagrange, ciò è tipico di quei corpi celesti che si muovano intorno al Sole nello stesso piano dell’orbita di Giove e in modo tale che stella, pianeta ed asteroide rappresentino idealmente i vertici di un triangolo equilatero. 


Anche Giove, come Saturno ed Urano, possiede un sistema d’anelli, che le recenti missioni spaziali hanno dimostrato essere costituito da una miriade di sottoanelli, sottoposti all’azione di forze interagenti. Si è appena detto che Giove possiede un campo magnetico molto intenso, capace di intrappolare le particelle ad alta energia entro regioni dello spazio circostante paragonabili alle fasce di Van Allen intorno alla Terra. Ebbene, quando passò vicino a Giove nel 1974, la sonda spaziale Pioneer 10 registrò una diminuzione delle particelle cariche nella zona compresa fra i 55.000 ed i 50.000 chilometri sopra l’atmosfera del pianeta. Benché il fenomeno potesse essere causato dal parziale assorbimento dei corpuscoli ad opera di un satellite vicino, l’ipotesi che in realtà andasse attribuito ad un sistema di anelli si dimostrò esatta allorché nel 1979 Voyager I e Voyager II ne trasmisero le immagini. Come quelli di Saturno ed Urano, gli anelli di Giove sono formati da una miriade di particelle che descrivono orbite indipendenti; sono prossimi al pianeta (la loro distanza è inferiore ad un raggio gioviano); giacciono sul suo stesso piano equatoriale; sono accompagnati da un numero consistente di minuscoli satellitini. Si distinguono in tre parti: un anello luminoso, un disco diffuso ed un alone. 
Il primo, lungo circa 6000 chilometri, mostra un bordo esterno ben definito 58.000 chilometri (0,8 raggi planetari) al di sopra della superficie del pianeta. Nella parte esterna vi si nota una banda, non più larga di 600 chilometri, la cui luminosità supera di un buon 10% quella della parte rimanente, l’opacità della quale è talmente bassa che solo lo 0,001% della luce solare incidente viene intercettata dalle sue particelle. 

Il disco diffuso, molto debole, si allunga verso il pianeta iniziando dal bordo interno dell’anello luminoso; alcuni dati suggeriscono addirittura l’ipotesi che riesca a lambire l’atmosfera di Giove. Similmente all’anello luminoso, anche il disco diffuso non supera (se visto di taglio) lo spessore dei 30 chilometri, spessore che è invece ben 700 volte maggiore nel caso dell’alone, il cui bordo esterno si estende nello spazio oltre il limite estremo dell’anello luminoso. Brillando quest’ultimo sotto piccoli angoli di diffusione, è stato possibile accertarvi la presenza di particelle micrometriche, affatto capaci di assorbire protoni ed elettroni ad alta energia. E dunque improbabile che esse causino il diminuire del flusso di corpuscoli carichi registrato da Pioneer 10; si suppone quindi l’esistenza di particelle aventi almeno 1 centimetro di diametro. 

 


La struttura di un sistema ad anelli dipende dall’interazione di numerose forze: forze gravitazionali (ascrivibili ai satelliti esterni agli anelli ed a quelli piccoli contenuti in essi), forze elettromagnetiche (causate dal campo magnetico del pianeta) e forze deboli (generate dal mezzo gassoso diluito entro il quale ruotano gli anelli). 
Tutti i corpuscoli che vi si trovano sono forniti di un comune moto orbitale intorno al pianeta e, rispetto a questo, del suo stesso senso di rotazione; solo i moti radiali e verticali, sovrapposti a quello orbitale di ciascuna particella, si sottraggono a tale limitazione. 
Nel muoversi casualmente lungo queste direzioni, corpuscoli mutuamente vicini entrano in collisione: nel caso siano elevate le velocità relative casuali, gli urti raggiungono un’incredibile violenza e, benché siano poco frequenti, riescono a trasformare una quantità notevole dell’energia cinetica posseduta dalle particelle. 

Queste, allora non solo si riscaldano e deformano la propria struttura, ma perdono rapidamente energia e velocità. Al decrescere rapido della componente verticale delle velocità consegue un appiattimento del sistema di anelli; al diminuire della componente radiale si accompagnano orbite pressoché circolari: in tal modo ed in poco tempo l’anello grosso si espande in un disco sottile, quasi circolare, in cui le velocità casuali dei corpuscoli (l’uno rispetto all’altro) non superano mai di un decimilionesimo il valore delle loro velocità orbitali medie. 

Anche quando cessi quasi completamente il moto casuale, non scompaiono affatto gli urti fra le particelle: poiché esse risentono di una forza di gravità decrescente all’aumentare della loro distanza dal pianeta, quelle più lontane necessitano di un tempo maggiore per descrivere un’orbita completa intorno a Giove ed entrano dunque in collisione con le altre che, nel percorrere un’orbita di poco più interna, vengono a trovarsi (nei confronti delle prime) ad una distanza radiale inferiore ad 1 diametro corpuscolare. 
La velocità di collisione, verosimilmente prossima ad 1 cm/s, è sufficiente a tradurre in moto verticale casuale una parte del moto circolare della particella; collisioni successive, nell’impedire che dette trasformazioni si facciano troppo numerose, sono dunque il mezzo che consente di raggiungere la situazione stazionaria cui è legato lo spessore dell’anello. 

Se i corpuscoli differiscono per dimensioni, quelli più piccoli acquistano in velocità verticale per effetto dell’attrazione gravitazionale di cui risentono quando vengono sfiorati da particelle aventi dimensioni maggiori; al contrario, perdono in velocità verticale se vengono sfiorati da corpuscoli che siano loro simili per dimensioni. 
A causa degli urti, una parte del moto circolare orbitale delle particelle incidenti si trasforma anche in moto radiale: ecco dunque gli anelli espandersi radialmente, almeno fino al punto in cui i loro corpuscoli vengono a trovarsi così lontani l’uno dall’altro da rendere altamente improbabili ulteriori collisioni. 
Ciò induce a ritenere che l’anello di Giove abbia raggiunto ormai lo stadio finale: si pensa infatti che le ragioni della sua straordinaria larghezza e minima opacità vadano ricercate proprio in quella dispersione delle sue particelle maggiori operata dal succedersi degli urti nel corso della vita del sistema solare. 

 


E comunque lecito ammettere che non solo la gravità ma anche le forze elettromagnetiche influenzino il moto dei corpuscoli negli anelli. Al riguardo è importante notare come quelli di Giove siano immersi in un plasma a bassa densità, cioè in un gas rarefatto costituito da ioni positivi ed elettroni negativi. Questi, inferiori per massa, si muovono più velocemente degli ioni; di conseguenza urtano con maggior frequenza le particelle dell’anello, le quali, per assorbimento di elettroni, vengono in tal modo ad assumere carica negativa. 

Capita allora che esse respingano gli altri corpuscoli di ugual nome e, cosa ancora più importante, subiscano l’azione accelerante di una forza elettromagnetica nell’attraversare il campo magnetico del pianeta. Se le dimensioni delle particelle non superano gli 0,1 micrometri, l’azione di tale forza si rivela preponderante rispetto a quella dell’attrazione gravitazionale e determina quindi il moto delle particelle. Ciò consente di spiegare alcune peculiarità della struttura del sistema d’anelli: poiché l’asse del campo magnetico gioviano è inclinato di circa 10° rispetto all’asse di rotazione del pianeta, l’estensione verticale dell’alone è proprio quello che ci si aspetta per corpuscoli aventi dimensioni dell’ordine di 0,1 miaometri. 

Anche la resistenza gassosa influisce in modo determinante sul moto delle particelle negli anelli. Poiché l’attrito dovuto alla presenza del plasma le costringe a scendere a spirale verso il pianeta, quanto più una particella è piccola tanto più rapido è l’abbassamento della sua orbita: al riguardo basti pensare che in soli vent’anni un corpuscolo di 1 micrometro può scendere dal bordo esterno a quello interno dell’anello luminoso per effetto della resistenza gassosa; altri duecento anni e, attraversato il disco di uso, toccherà l’atmosfera del pianeta. 

É bene ricordare, che nello spazio interplanetario, pur essendo preponderanti i corpi molto piccoli, le dimensioni dei solidi variano in genere da meno di un micrometro a qualche chilometro ed oltre: i primi formano il materiale degli anelli e ruotano intorno ad un pianeta; i secondi orbitano attorno al Sole. Se entra in collisione con un corpo interplanetario, la particella viene inevitabilmente distrutta, a meno che le sue dimensioni non superino di almeno un centesimo quelle del solido incidente. E dunque lecito supporre che un corpuscolo micrometrico dell’anello non sopravviva più di diecimila anni; e l’intervallo vitale si riduce ulteriormente se si considera che una particella inferiore ai 10 micrometri può venir erosa dalle collisioni con gli ioni energetici della fascia gioviana di Van Allen molto prima di collidere con un micrometeoroide. 

Alquanto incerto è il processo che portò alla Comparsa dell’anello. I più ritengono che il Sole, i pianeti, i satelliti, le comete e gli asteroidi del sistema solare si siano formati 4,6 miliardi di anni fa all’interno di una nube diffusa di polveri e gas: il Sole ed i cosiddetti pianeti giganti (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) avrebbero tratto origine soprattutto dai gas della nebulosa; la comparsa degli altri pianeti (Mercurio, Venere, Terra, Marte e Plutone), dei satelliti, delle comete e degli asteroidi andrebbe invece attribuita al processo di solidificazione della materia, la composizione della quale sarebbe variata secondo la temperatura locale della nebulosa. É lecito supporre che Giove (similmente a Saturno, Urano e Nettuno) sia stato all’inizio parecchie centinaia di volte più esteso di quanto appaia oggi. 

Per effetto della gravitazione iniziò a contrarsi gradualmente, via via aumentando la propria velocità di rotazione. Essendo a questa legata da un rapporto di proporzionalità diretta, la crescente forza centrifuga incominciò a spingere verso l’esterno un involucro gassoso mentre la concentrazione semisferica interna dei gas continuava a contrarsi. Dall’involucro trassero origine granelli solidi; da questi i grandi satelliti del pianeta ed il sistema di anelli. Trascorse quasi un milione d’anni e l’involucro circumplanetario scomparve, forse spazzato via da un vento di gas ionizzati provenienti dal Sole; di conseguenza, ebbe termine il processo di formazione dei satelliti e delle particelle degli anelli. 

Al riguardo, molti ritengono che esse si siano formate in posizioni prossime alla loro attuale posizione radiale; variazioni termiche ed altri fattori avrebbero poi condizionato le composizioni dei satelliti e del sistema d’anelli. Una simile ipotesi è suffragata dai dati lativi alle densità medie dei quattro pianeti medicei, secondo i quali soltanto i due più interni (Io ed Europa) sono formati quasi esclusivamente da rocce, gli altri invece da quantità equivalenti di rocce e ghiaccio. Se si pensa allora che anche il sistema degli anelli, oltre a giacere all’interno dell’orbita di Io, è caratterizzato dalla presenza di minerali alquanto rari che solidificano alle alte temperature, si può realmente credere alla fondatezza di una simile teoria e ritenerla applicabile anche agli altri pianeti giganti del sistema solare che si accompagnano ad anelli. 

Relativamente a questi ultimi, va ancora chiarito il processo che ne consentì la nascita. Alcuni ritengono che, risentendo dell’effetto di marea nell’avvicinarsi al pianeta, un grosso meteoroide si sia frantumato in una miriade di pezzi, dai quali avrebbero poi tratto origine gli anelli; altri pensano invece che un unico grande satellite (oppure un certo numero di satelliti), orbitante in quella che è oggi la regione degli anelli, sia ivi entrato in collisione catastrofica con un meteoroide vagante; altri infine ritengono che essi siano semplicemente dovuti a scarso accrescimento di materia nell’involucro circumplanetario in prossimità del pianeta. 

La seconda ipotesi, in particolare, è suffragata dalle immagini, trasmesse dai Voyager, dei satelliti di Giove, le cui superfici, butterate da numerosi crateri, inducono a ritenere estremamente probabili collisioni catastrofiche della regione che in seguito sarebbe stata occupata dal sistema degli anelli. Anche la terza ipotesi gode di ampio credito: a causa del raffreddamento progressivo dell’involucro circumplanetario, la massa gassosa si sarebbe condensata in minuscoli granuli solidi, i quali, sotto l’azione delle forze gravitazionali e della resistenza gassosa, sarebbero stati costretti a disporsi lungo il piano equatoria dell’involucro, ove avrebbero continuato ad accrescersi fino ad assumere dimensioni variabili da pochi micrometri ad alcuni metri. 
E infine necessaria un’ultima osservazione a proposito delle particelle micrometriche degli anelli. Obbligate dalla resistenza gassosa a descrivere traiettorie a spirale dal bordo esterno dell’anello luminoso fino all’atmosfera di Giove in poco più di qualche centinaio d’anni, è impensabile che esse abbiano potuto sopravvivere fin dal tempo in cui un involucro gassoso circondava il pianeta. Al contrario, bisogna ammettere che esse siano ancor oggi dovute all’erosione di corpi macroscopici situati all’interno od in prossimità dell’anello luminoso. 

E noto che i corpuscoli aventi dimensioni pari o superiori al centimetro non vengono in genere distrutti quando entrano in collisione con un micrometeoroide interplanetario: poichè ogni urto genera un minuscolo cratere nel punto dell’impatto, bisogna supporre che venga espulso un gran numero di particelle micrometriche, le quali, pur riuscendo a vincere il campo gravitazionale del satellitino, mancano però dell’energia necessaria per sfuggire all’attrazione del grande pianeta intorno al quale ruota il satellite e sono quindi costrette a disporsi negli anelli. Si conclude pertanto che, mentre risalgono ai primordi del sistema solare le origini dei satellitini e dei corpuscoli più grandi degli anelli, la formazione in questi di particelle microscopiche è invece ancora in atto. Doppiamente interessante e ricco di prospettive si rivela oggi lo studio degli anelli gioviani: una volta definitone il processo di formazione, si spera infatti di chiarire, alla luce delle nuove acquisizioni, la nascita dei satelliti e dei pianeti solidi.