VENERE
 

 

Venere dista dal Sole 0,72 unita’ astronomiche (1 u.a.= 149600000 Km). 
La densità‘  e’ paragonabile a quella terrestre.
Venere e’ circondato da dense nubi che provocano un tipico effetto serra, riscaldando la superficie del pianeta.
Distanza minima dalla Terra (congiunzione inferiore) = 40 ¨ 10^6 km.
Distanza massima dalla Terra (congiunzione superiore) = 260 ¨ 10^6 km.
Elongazioni (quasi uguali) = 48°.
Diametro apparente = 10″  65″.
Periodo sinodico = 584 giorni.

 

 

É il secondo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole, attorno al quale descrive una rivoluzione completa in circa 224 giorni ad una distanza media di 108.106 chilometri. Insieme a Mercurio forma la coppia dei cosiddetti pianeti interni, cioè di orbita compresa fra il Sole e quella della Terra: se è dunque impossibile osservare Venere dal nostro pianeta quando si trova in opposizione al Sole, si riescono invece a seguire le sue due congiunzioni (l’inferiore e la superiore). Orbitando fra Mercurio e la Terra, anche Venere, come la Luna, presenta quel caratteristico fenomeno delle fasi che previsto teoricamente da Copernico ed osservato per la prima volta da Galilei, forni uno dei maggiori contributi a sostegno della teoria eliocentrica. Ciò che più distingue le fasi lunari da quelle venusiane è la variazione molto sensibile del diametro apparente del pianeta (quello apparente della Luna rimane invece pressoché costante): tale peculiarità va attribuita a1 fatto che la distanza intercorrente fra la Terra e Venere varia in modo considerevole fra l’attimo in cui il pianeta ci mostra il suo disco completamente illuminato (allorché si trova al di là del Sole, a 260.106 chilometri circa dalla Terra) ed il momento in cui appare come una falce molto sottile (quando viene a trovarsi fra il Sole e la Terra). 

Lo splendore di Venere è incomparabilmente maggiore di quello delle stelle e degli altri pianeti visibili dalla Terra sia quando precede il Sole nel suo moto apparente diurno (rendendosi così visibile al mattino) sia quando lo segue (e può allora venir ammirato alla sera). 

Il fenomeno era già noto agli antichi, i quali ritenevano però che ad accompagnare il Sole fossero non uno bensì due corpi celesti, chiamati rispettivamente Lucifero o stella del mattino e Vespero o stella della sera. 
I passaggi di Venere sul disco solare si rivelano molto importanti sia per determinare con precisione alcune costanti tipiche della meccanica celeste sia per studiare l’atmosfera venusiana, che in quelle occasioni assume l’aspetto di un anello luminoso tracciato tutt’intorno al disco nero del pianeta proiettato sul Sole. Al riguardo, la validità dei dati desunti per via spettroscopica ricevette piena conferma nel maggio del 1969 grazie alle indagini chimiche eseguite dalle sonde russe Venus 5 e Venus 6; l’avvento dell’astronomia radar e della radioastronomia passiva consentì poi di localizzare alcuni particolari della superficie capaci di riflettere in maniera riproducibile gli echi radar; infine, grazie all’effetto Doppler, si riuscirono a misurare i moti di avanzamento e di recessione del pianeta, determinandone sia il moto retrogrado (descritto cioè in senso antiorario rispetto a quanto mostrato dalla maggior parte degli altri pianeti) sia la geometria dell’asse di rotazione rispetto al piano dell’orbita sia il periodo stesso di rotazione (243,09 + 0,18 giorni terrestri). 


La magnitudine apparente di Venere raggiunge talvolta i -4,4; il diametro tocca quasi i 12.000 chilometri (atmosfera esclusa); la massa viene stimata 0,81 volte quella terrestre; la densità si aggira intorno ai 5,1 grammi per centimetro cubico; l’orbita del pianeta intorno al Sole (descritta con una velocità orbitale media di 35 chilometri al secondo) è assimilabile in pratica ad una circonferenza perfetta, avendo eccentricità uguale a 0,007. 

Sulla base dei dati in nostro possesso, è lecito ritenere che la temperatura superficiale del pianeta sia compresa fra i 720 °K ed i 780 °K (446,85 °C . 506,85 °C), mentre quella delle nubi visibili dovrebbe aggirarsi fra i 220 °K ed i 240 °K (-53,15 °C 33,15 °C). Tali dati non sono comunque da ritenersi definitivi, tanto più se si pensa che nel corso di quest’ultimo decennio la considerevole mole di dati forniti dalle sonde spaziali ha permesso agli astrofisici di elaborare per Venere un’immagine completamente nuova e, sotto molti aspetti, del tutto inattesa. 

Nel 1970 la navicella russa Venus 7 registrò, all’impatto con la superficie del pianeta, una temperatura di circa 750 °K (476,85 °C) ed una pressione di 95 bar; nel febbraio del 1974 il Mariner 10, dopo aver eseguito accurate osservazioni relative alla zona investita dal vento solare all’emissione nell’infrarosso e nell’ultravioletto estremo, ai silenzio radio ed alla formazione delle immagini, trasmise una curva di oscuramento al bordo (ottenuta mediante tecniche di radiometria all’infrarosso) che rivelava essere l’atmosfera del pianeta alquanto opaca, con un coefficiente di assorbimento pari a circa 0,24 al chilometro (le variazioni della curvatura inducono a ritenere probabile l’esistenza di disomogeneità termiche, paragonabili per dimensioni alle macchie nere visibili in luce ultravioletta). 


Mediante un analizzatore elettrostatico retro-orientato, la sonda mise in luce il fatto che l’interazione del vento solare con il pianeta generava un’intensa onda d’urto di prua anziché un’estesa esosfera; sempre il Mariner 10 misurò, per inseguimento Doppler a distanza ravvicinata, il valore di 408.523,90 + 1,20 per il rapporto fra le masse del Sole e di Venere; indicò una differenza fra i momenti principali d’inerzia non superiore ad 1 parte su 10.000; rilevò quattro inversioni di temperatura, rispettivamente a 56, 58, 61 e 63 chilometri d’altitudine (i segnali della banda X si attenuavano molto più rapidamente di quelli della banda S per poi scomparire completamente a 52 chilometri d’altezza; la ionosfera era caratterizzata, sulla faccia non illuminata dal Sole, da due strati con densità elettronica massima di 104 elettroni per centimetro cubico (ad altitudini di 120.140 chilometri) e, sull’emisfero opposto, da una densità massima di 3.105 elettroni al centimetro cubico (ad un’altezza di 145 chilometri). Mediante un doppio magnetometro atto a consentire la misurazione accurata dei deboli campi magnetici nello spazio in presenza del campo (intenso e variabile) generato dalla navicella, il Mariner 10 rilevò la presenza di un’onda d’urto a partire dalla zona in cui il vento solare supersonico interagiva con l’atmosfera venusiana; a tutt’oggi, comunque/ non è ancora possibile accertare la natura e le caratteristiche dell’ostacolo responsabile di tale deflessione. 
Le telecamere della sonda ripresero il pianeta nel visibile e nel vicino ultravioletto per un periodo di otto giorni con una risoluzione compresa fra i 100 metri ed i 130 chilometri: in tal modo fu possibile rilevare un moto equatoriale zonale dell’atmosfera, da est verso ovest, ad una velocità di circa 100 metri al secondo, in pieno accordo con il periodo di quattro giorni che era stato attribuito a Venere sulla base delle osservazioni ottiche. 

I dati in nostro possesso testimoniano nell’alta atmosfera venusiana la presenza di concentrazioni significative di idrogeno, elio e carbonio, con scarse tracce di gas inerti, ossigeno ed acqua. Le nubi presentano lo stesso indice di rifrazione dell’acido solforico e forse contengono quantità non indifferenti di acido fluoro-solforico (HSO3F); inoltre, formando una cortina molto densa tutt’intorno al pianeta, produrrebbero il cosiddetto effetto serra: in tal modo, assorbendo l’energia solare ed impedendone l’irraggiamento nello spazio, costituirebbero il principale fattore d’innalzamento termico del suolo.